Archeologia della parola

Archeologia della parola
La presenza di elementi alfabetici, tracce verbali più che parole o discorsi strutturati sul rapporto significante/significato, è un fatto da mettere in relazione con il percorso che Luciana Matalon compie, a varie riprese e con varie modalità, tra i concetti di natura e di memoria.  Al contrario di molta pittura collocabile nell’area delle avanguardie storiche (Cubismo, Dadaismo, Surrealismo, ecc.) e riconducibile ad esse (per sedimentazione culturale e per logico sviluppo), quella di Luciana Matalon non fa uso del segno verbale in senso espressivo e tanto meno formale; tant’è vero che la presenza di queste tracce non sempre è percepibile al primo sguardo. La “scrittura” sembra anzi emergere, quasi affiorare, da un processo di stratificazioni di cui la materia è appunto l’artefice principale.

Parafrasando, potremmo parlare di una “archeologia della parola” in cui ciò che conta è più quello che della parola visivamente si è perduto che non quello che ci è rimasto. Il senso, a volte, potrebbe anche essere quello di un reperto archeologico, indecifrabile al di fuori di un determinato sistema.

D’altro canto, da tempo, bruciando la moda, Luciana Matalon ha prevenuto il cosiddetto “citazionismo”.
Il suo modo di operare, sulla figura, sul colore, sul complesso dell’immagine, riporta semmai a un clima alchemico, di evocazione simbolica, in cui il segno alfabetico, “cifra” di una identificazione “naturale” più prossima certo a un Giordano Bruno che, diciamo, a un Descartes, assume funzione catalizzatrice nei confronti degli altri materiali. Ed è così che questi segni, a tratti, si fanno anche interattivi, consentendo al l’immagine globale di portarsi al di là di un consumato concetto pittorico.

Vincenzo Accame
Milano – Dicembre 1985