Opere monumentali
“Città Sole” – 2013, Rozzano (Mi)
Il 9 giugno 2013 è stata inaugurata Città Sole, la grandiosa scultura monumentale realizzata da Luciana Matalon e donata dall’artista al Comune di Rozzano (Mi).
L’opera vincitrice del concorso “Sculture pubbliche per la città di Rozzano”, indetto dall’amministrazione comunale è una scultura di straordinario impatto visivo, ed è composta da un grande disco di oltre 4 metri di diametro, fissato su uno stretto braccio a formadi spirale con uno sviluppo di 21 metri, che ne conferisce un’elegante dinamicità, per un’altezza complessiva di 12,5 metri.
Il disco è stato scomposto in differenti sezioni, ruotate in modo da conferire volume all’intera opera. Nella parte superiore è stata modellata una poetica città, le cui porte e finestre sono forate per permettere alla luce e al vento, nelle diverse stagioni, di penetrare nella scultura per viverla e farla vivere.
Al di sopra della città, come un ombrello di luce, il semi-disco del sole. La spirale e la parte inferiore del disco sono realizzate in acciaio cor-ten e lasciate a nudo in modo che possano ossidarsi, donando alla scultura la tipica colorazione brunita. Le parti in bronzo, città e saetta centrale, sono state patinate con nitrato di ferro e sfumate con parti lucide a specchio. Il semi-disco è stato lucidato completamente a specchio.
Il risultato è un’opera imponente e scenografica, tale da diventare segno inconfondibile per la città.
“The Sun Town” (testo di Luciana Matalon) – 2007, Netanya (Israele)
Questa Scultura “Città-sole”, a cui ho lavorato per circa due anni e che ho esasperatamente seguito, dettaglio dopo dettaglio, è stata collocata a Netanya, in Israele, e vuole essere un omaggio a mio marito, che purtroppo non c’è più. Un omaggio al suo desiderio di ritorno alle sue antiche radici, dopo tante dolorose vicissitudini storiche.
La città di Netanya ha dedicato la grande piazza di fronte al mare, in cui è stata collocata la mia scultura “Città-sole”, al nome di mio marito e quindi la piazza si chiama oggi “Piazza Beniamino Matalon”. Ideologicamente la mia scultura vuole essere un’isola serale capace di far dimenticare le prigioni di giorni spenti e in cui adunare astri di arcipelaghi insonni, insonni come le mie notti alla deriva di impossibili oblii.
Il mio bisogno di fare scultura nasce 38/40 anni fa e praticamente parte dalla tridimensionalità della mia pittura degli anni 60/70. A quel tempo, la mia irrequietezza cercava qualcosa di diverso che rappresentasse la rottura di limiti e trovasse nuove dimensioni. Così ho incominciato ad infierire sulla prima dimensione, che era rappresentata dalla tela/barriera, con tagli e lacerazioni, per permettere al gesto e alla luce di andare oltre, di varcare un confine, poi con delle combustioni di PVC ripartivo dalla superficie della tela, esasperavo la materia, intrisa di colori acrilici fino ad ottenere degli aggetti che volevano, a loro volta, sfidare nuovi spazi. Così, mi sono accorta che la pittura non mi bastava più e che era indispensabile per me fare anche sculture. Con la scultura però io avrei voluto scolpire la leggerezza, il vento, la luce, i grovigli del pensiero, i silenzi, ma la scultura vuole la materia, la esige, e la materia è peso, volume, occupazione di spazio. Allora io questa materia l’aggredisco, la altero, la apro, la spacco. Pratico glifi per cercare nelle loro caverne tracce di antichi alfabeti annegati nelle sue rughe, nelle loro rughe del tempo. Anfratti che imprigionano remote memorie, misteriosi silenzi che saettano energie liberatorie. Attraverso queste lacerazioni, permetto alla luce e alle stagioni, con i molteplici colori, di entrare nella scultura e di viverla in ombre e proiezioni sempre diverse e poi, sempre con intendimento poetico, costruisco absidi e castelli appollaiati su scale impossibili, percorribili solo sui gradini della poesia.
Da cittadina del mondo, ho bisogno di spostamenti continui per sentirmi una batteria sotto carica, per attingere conoscenza ed esporre la mia mente a confronti e continue verifiche. Pittura e scultura sono per me un abbandono fiducioso al desiderio di raccontare in una frastornante mescolanza di sincerità, di invenzione, di voglia di stupire, di confessarmi, di assolvermi, di essere libera di giocare a palla con i pensieri, ma, se dovessi tradurre e spiegare le motivazioni dei segni, dei tagli, dei simboli, delle metafore, delle allegorie e quant’altro, che sono la voce sommessa del mio lavoro, compirei una disastrosa operazione di smascheramento della fascinosa ambiguità del loro esistere.
Luciana Matalon