Dopo alcuni anni di assenza dal panorama espositivo milanese, Fausto Melotti torna protagonista di una mostra dedicata alla sua produzione degli anni Sessanta e Settanta. Attraverso una ventina di sculture e una trentina d’incisioni, la rassegna tocca i punti nodali della poetica dell’artista focalizzandosi sulle ricerche che lo hanno portato verso un’autentica rivoluzione della scultura contemporanea: verso un concetto di scultura che rigettava, cioè, la materia (“l’amore per la materia – diceva – non ha niente a che fare con l’arte”). La scultura di Melotti è difatti tutta mentale e prende corpo dalla proiezione nello spazio di un’idea, destinata a concretizzarsi in un’immagine lieve, come il sogno che l’ha generata. Se nei lavori degli anni Trenta visioni di atomi e di elettroni, nostalgie delle sue ricerche scientifiche (si era laureato nel ’24 al Politecnico di Milano) s’organizzavano in strutture complesse, nei capolavori della maturità l’astrazione si fa meno rigorosa, aprendosi a qualche eco di naturalismo. A partire dagli anni Sessanta i suoi motivi mentali – organismi arcani ispirati a temi musicali e a geometrie pure – si configurano infatti secondo uno spirito favolistico. Ne nascono racconti meravigliosi, dove il piacere del gioco di lega al gusto per il dettaglio e le divagazioni nel sogno e nel mito danno alle sue nuove storie un accento più intimo. Fili di ferro, velette e piume, lamine sottili come stagnole, catenine e campanelle disegnano nell’aria figure leggerissime e architetture diafane. “Città sottili”, come le definì Calvino che a lui dedicò le sue Città invisibili. Motivi che tornano anche nella produzione grafica – molto ben rappresentata in mostra – e che, più che altrove, svela il suo rapporto speciale con la musica. Lo studio giovanile dell’organo e del pianoforte e le sue particolari riflessioni sul contrappunto e l’armonia ne segnarono in modo indelebile la produzione degli anni a venire. E nelle incisioni il debito è evidente. Melotti sembra usare il foglio come uno spartito, per tracciarvi sinfonie di segni impercettibili. Scorrendo veloce sulla lastra procede per sottrazione, eliminando ogni elemento ritenuto non indispensabile e arrestandosi sulla soglia del deserto con composizioni evanescenti, palpitanti di lirismo.
Fausto Melotti è nato a Rovereto nel 1901. Fin da bambino coltivò la passione per la musica. Negli anni della guerra si trasferì con la famiglia a Firenze, dove studiò pianoforte, prima di iscriversi, nel 1918, alla facoltà di Fisica a Pisa. Al termine del conflitto si stabilì a Milano, dove nel 1923 tenne un concerto (con Gino Pollini futuro architetto razionalista) e nel 1924 si laureò in ingegneria. Negli stessi anni cominciò ad interessarsi alla scultura: si iscrisse all’Accademia Albertina di Torino e poi a Brera, dove studiò sotto la guida di Adolfo Wildt ed ebbe tra i suoi compagni Lucio Fontana. Nel 1930 espose alcune ceramiche alla Triennale di Milano. Nello stesso periodo fu tra i fondatori della rivista “Quadrante” e iniziò a frequentare la galleria del Milione, punto d’incontro dei giovani artisti italiani. Al Milione l’artista organizzò una mostra degli allievi della Scuola del Mobile di Cantù e nel 1935 vi tenne la sua prima personale, presentando al pubblico le sue inedite sculture astratte. Sempre nel 1935 aderì al gruppo astratto francese Abstraction- Création, mentre nel 1937 durante un viaggio a Parigi conobbe Kandinsky. Nel 1941 si trasferì per due anni a Roma e nel 1943, di ritorno a Milano, trovò il suo studio distrutto dai bombardamenti. Nell’immediato dopoguerra l’artista si dedicò prevalentemente alla ceramica, mentre negli anni successivi la sua ricerca approdò ai teatrini e alle sculture più narrative. A partire dagli anni Sessanta, dopo un lungo silenzio, la sua opera conobbe una rinnovata fortuna, accompagnata dalla frequente partecipazione a mostre nazionali ed estere. Fausto Melotti è morto a Milano nel 1986.