Il Museo Fondazione Luciana Matalon è lieto di presentare Madre Terra, mostra personale del pittore Mario Paschetta.
La mostra, in corso dal 4 al 21 aprile 2012 e ideata dalla Galleria Colonna con il supporto critico di Francesca Porreca, vuole presentare lo stile particolare e inconfondibile dell’autore, che si contraddistingue per una pittura non-pittura: della tecnica tradizionale conserva alcuni tra i generi più classici – il paesaggio, la marina – e l’uso espressivo del colore, capace di detonare immediatamente una campitura, una striscia o una macchia come elementi specifici e fondamentali del panorama, quali la vegetazione, le distese collinari, il mare. Ha perso però la rigida bidimensionalità e l’assoluta supremazia dell’immagine sulla materia, conquistando invece tutto quanto un dipinto non dovrebbe avere: una terza dimensione concreta e una corposità tattile, come se gli orizzonti evocati dalla spatola, dal pennello e dai pigmenti non si accontentino di rimanere intrappolati nei confini del telaio, e così premano per superarli e vincerli spingendo in avanti, non contro la cornice, e aggredendo e incalzando lo sguardo dello spettatore.
I paesaggi, che mai hanno evidenti riferimenti prospettici all’interno, violentano i limiti fisici del quadro e vanno a conquistare uno spessore reale, a cui consistenza incuriosisce chi guarda. E visto che la parte inferiore è sempre quella più pesante, ricca di elementi e di trame, i lavori assumono quasi una consistenza piramidale che costituisce di fatto la prospettiva, e costringe i cieli, gli azzurri delle campiture superiori, a una fuga verso l’interno dell’opera, mentre la base corposa e aggettante suggerisce una certa solidità plastica. La materia che descrive l’acqua, le onde, le piante da palude, i muri screpolati, la terra smossa dagli aratri sembra aver assorbito dalle forme riprodotte la sostanza, l’anima stessa.
Irrompe il gusto plastico per la materia fra i rilievi, le porosità e le ondulazioni che affiorano dagli impasti di marmo, gesso, intonaco e terre naturali a delineare i contorni di paesaggi.
Non a caso, l’humus di Paschetta si è nutrito della lezione di Burri, di Crippa e altri, ma, ben lontano da farsi ingabbiare in un cliché, approda all’invenzione di una poetica peculiare. Il suo percorso solca sentieri insoliti come l’unica via possibile e ci porta lontano.
Mario Paschetta nasce a Milano nel 1949 e inizia a dipingere all’età di 14 anni: la sua è una pittura tradizionale, seppure già compare una corposità materica. La frequentazione degli ambienti culturali milanesi, tra i quali il Bar Jamaica a Brera, lo porta ad entrare in contatto, sia pure come spettatore, con i numerosi artisti che lo frequentano, molti dei quali contribuiranno a scrivere pagine importanti nella storia dell’arte italiana. In seguito, nonostante l’allontanamento per motivi professionali dalla pratica della pittura, continua la sua frequentazione dell’ambiente artistico e delle gallerie d’arte. Nel 1992 inizia uno studio approfondito sulla materia, sia in termini di materiali che di utilizzo: traspariranno così sulle tele gli influssi che hanno avuto artisti del calibro di Burri, Crippa e Mattioli. Le opere di Mario Paschetta sono presenti in diverse collezioni private e pubbliche; molte sono le partecipazioni alle principali mostre d’arte italiane e internazionali. Hanno scritto di lui: Dalmazio Ambrosioni, Marco Annunziata, Paola Artoni, Gianni Barachetti, Lucio Barbera, Anna Caterina Bellati, Stefania Briccola, Daniela Bordogna, Rossana Bossaglia, Alessio Calestani, Aldo Camerini, Fabrizio Colonna, Marco Corradini, Elisa Cremonesi, Alberto Facchinetti, Vittorio Gallo, Athos Gemignani, Enrico Giustacchini, Simona Ladu, Trento Longaretti, Fausto Lorenzo, Stefano Maffini, Riccardo Panigada, Angelo Piazzoli, Rosario Pinto, Francesca Porreca, Luigi Rigamonti, Enzo Santese, Anna Maria Savarino, Luca Savarino, Marta Savaris, Maurizio Sciaccaluga, Ruggero Sicurelli, Tarcisio Tironi, Giuliano Zanchi.