Corpi della memoria, paesaggi della mente

Corpi della memoria, paesaggi della mente

Dopo i “paesaggi” la cui materia veniva lacerata in profondità, a tratti con violenza, come per mettere a nudo una crisi interna, ora questi paesaggi presunti si distendono per accogliere, perfino con eleganza, alcuni reperti significativi di ciò che erano stati. Non più la materia stravolta, ma un vuoto-pieno in cui ciò che resta si accumula o si dissemina per trasparenze, per interventi di segno-parola che giocano sul doppio meccanismo del riconoscibile e in conoscibile, leggibile e non leggibile, lasciando intendere che l’operazione implica una sublimazione, annette valori magico-evocativi, richiama un’aspirazione genericamente “sacrale”

È la parola della poesia che si affaccia alla luce, la parola dei testi sacri che si esibisce nei suoi caratteri di ambiguità. Già avevo scritto che mi pareva, quell’organismo, un corpo di memoria recuperata e riproposta, e ancora la disposizione denuncia un’energia interna che sommuove a vortice, e spinge in profondo, verso un centro, sebbene anche la forza opposta, che “regge” verso la superficie e oltre quegli elementi dispersi, si direbbe convivere ragionevolmente: lo sprofondamento e l’emersione coincidono. Che questo movimento a contrario abbia suggerito l’immagine, ovvero il processo della camera obscura è del tutto comprensibile: nello sprofondamento, dal coagulo di forme compatte, materiche, in rilievo, nel colore del buio, ha luogo il riflesso della presenza. Spesso il risultato del metodo è la costituzione di un testo dipinto-scritto-graffito, che include in sé le varianti esponendole frammentariamente, o di un’unità raggiunta per dispersione. Nella scultura della Matalon accade più o meno la stessa cosa.

Qui la forza è verticalizzante, prende forma di piramide, lancia, cuspide (“my world is pyramid”, il verso di Dylan Thomas, torna più volte nell’immaginario della pittrice), ed è possibile scomporla e ricomporla, renderla sempre più snella, come a configgersi nel vuoto, oppure troncarla, fino a mostrarne la solidità di base. E può ruotare su se stessa, mostrando ogni lato, ogni particolare fittissimo della sua trama. Ancora il pieno e il vuoto uniti in un disegno unitario, di particolari minuziosi e variatissimi, quasi citazioni dai più diversi luoghi dell’aspirazione alla conoscenza. Sculture di impianto sicuro, compatte, da leggersi attraverso un delicato ricamo di segni, ornamenti, figure appena accennate, in una serie ricca di rimandi non definibili con certezza quanto alle origini, che potrebbero essere orientali, gotiche, preistoriche, sempre e comunque di forte suggestione. È ancora vero, credo, quanto avevo già notato, e cioè che nel complesso, indifferentemente, di pittura o scultura, resiste un’ansia di acquisizione di un metodo che tende a unire per differenza.

Roberto Sanesi
Como — November/December 1993
Dalla presentazione della mostra alla Galleria Il Salotto di Como