Galleria dello Scudo di Verona
Dalla presentazione per la mostra alla Galleria dello Scudo di Verona
… Qui propone il lavoro degli ultimi due anni, che presuppone la somma delle esperienze bruciate fino ad ora: le cattedrali inghiottite (con gli echi Valeryani), dell’inconscio o dello spazio, materiali combusti e colori acrilici; isole sospese nelle profondità delle galassie; monumenti all’architettura dell’uomo portati in salvo, come reliquie, da onde d’aria luminosa.
Le ultime visioni sono le più libere e tese; sono spariti i missili, i segni più decifrabili, i virtuosismi tecnici, le cuspide forate, i tagli (dai quali occhieggiava Fontana, lieto dell’omaggio della giovane pittrice bionda). Ci si aggira nelle foreste cosmiche, che possono anche essere pantografie di ragnatele tessute nei giorni dell’orrore, ma depurate scientificamente: Doré, se si vuole, ma rivisitato da Bradbury.
La tecnica con la quale Luciana Matalon ha composto queste tavole, della sua e nostra inquietudine, è mista, impasti di colori seminati alla Pollock; tanto per intenderci.
Predilette sono le aree extraterrestri, azzurre o rosse o celesti, di netta dichiarazione chimica. Questa complicità (o insidia) scientifica, dentro uno scenario da prima di Adamo, diffonde un lume melanconico; e, insieme, prospetta la speranza di uno scampo. Pensiamo che il sogno di Luciana Matalon sia occupato da un progetto: che una delle alte maree celesti che ha dipinto, sfigurato il volto della terra, possa portare in salvo chissà dove, in spazi liberi e incontaminati, la memoria dell’esistenza felice dell’uomo.
Alberico Sala
Milano — Maggio 1972